martedì 14 settembre 2010

Il rapporto tra architetture statiche e dinamiche nel concept di Vincenzo Granata.

Analizzare lo scenario della mobilità significa confrontarsi con il mondo caotico che siamo abituati a "subire" in maniera più o meno frustrante nelle nostre città. Altrettanto riconosciamo, nel nostro presente, la difficoltà dell' uomo nel contatto e nel rispetto della natura, sia come impatto ambientale che come sfruttamento delle risorse.
Ed è dall' attenta analisi del presente, unita alla fantasia del giovane designer Vincenzo Granata, che nasce il progetto che vi presentiamo e che ben esemplifica il concetto di Transportation Design, secondo le teorie proposte da Gino Finizio nei suoi libri e nelle tesi in ambito universitario.
 
Il progetto di Vincenzo Granata (tesi di Laurea in Disegno Industriale alla S.U.N di Napoli, relatore Gino Finizio) propone un veicolo elettrico leggero, che abbatte i consumi e l' impatto ambientale, e un’architettura futuristica a forma di stelo, che viene concepita appositamente per la ricarica del mezzo.
 

Il complesso ideato offre un servizio di ricarica energetica, pulizia e soluzione di parcheggio, dipingendo uno scenario simile ad un “parco ecologico” in cui natura ed elementi sofisticati si miscelano per sostenere l’uomo ed alimentare i suoi mezzi. Una visione avveniristica che, attraverso l’ausilio di pannelli solari e vernici luminex, si pone come collante tra l’uomo, il veicolo e la città.



La maggior parte della popolazione al giorno d’oggi vive in città, nelle metropoli ormai congestionate dai problemi di mobilità, parcheggio, traffico, smog e tanti altri. Il veicolo di Vincenzo Granata, progettato per integrarsi ad un’architettura che si presenta come steli di piante, ha come grande priorità la leggerezza, tale qualità gli permette di poter percorrere molti chilometri con due piccoli motori elettrici montati direttamente sulle ruote posteriori. E’ un esempio di fusione tra architettura e design servita dalla tecnologia.



Tra le future soluzioni possibili, una produzione di energia rinnovabile tramite pannelli installati su un’architettura a forma di steli, auto minime nel peso e nel volume che vengono inglobate dal sistema come foglie sull’albero; si crea, così, una biomorfa soluzione che trasforma gli squallidi parcheggi in uno scorcio metropolitano di straordinaria naturalezza.

Ed è proprio dallo studio del rapporto tra le architetture dinamiche (i veicoli) e quelle statiche (gli edifici), secondo quanto riportato da Gino Finizio nel libro Architettura & Mobilità (Skira editore - 2006), che nasce la possibilità di un futuro della mobilità urbana più consapevole ed equilibrato.

Queste "stazioni" assomiglieranno ad un giardino, o meglio ad una foresta popolata da alberi tecnologici che danno energia a questi mezzi minimi, come se fossero delle creature, o meglio, animaletti che si nutrono di frutti “energia” prodotti da questi alberi. Energia rinnovabile ricavata dai pannelli solari ultra sottili e flessibili (del tipo CIGS), che ondeggiano con il sospirare vento, mezzi silenziosi ed a emissioni 0, un luogo silenzioso dove si può sentire il fruscio delle foglioline fotovoltaiche, luci e colori prodotte grazie alla tecnologia e all’ausilio della natura.

Come possiamo vedere questo sistema non vuole essere un semplice parcheggio, o una convenzionale  stazione di rifornimento, ma un luogo di comunicazione, una stazione come quella dei treni, delle navi e degli aerei, per far entrare il veicolo all’interno di un’architettura che comunichi con la città.

Il veicolo di Vincenzo Granata ha come grande priorità la leggerezza. Tale qualità permette di percorrere molti chilometri con due piccoli motori elettrici del tipo "active wheels“ montati direttamente sulle ruote posteriori.
La leggerezza è generata da una accurata scelta dei materiali, come il policarbonato per la parte superiore che risulta molto più leggero del vetro,e di sistemi appropriati e innovativi, come il telaio che funge sia da funzione estetica che da protezione.
La leggerezza è percepita anche all’interno dell’abitacolo, in cui il termine "minimo" trova la sua naturale collocazione, composto solo da un sedile monoscocca per due persone molto sottile e leggero.




Come dicevamo nell' articolo sulla storia dell' auto minima italiana, il concetto di minimo prevede alla base un' analisi di ciò che è necessario e di ciò che è superfluo. Inoltre, come vediamo nella soluzione di Vincenzo Granata, in questo processo di "minimizzazione" è importante unire i comandi (nel concept esposto viene proposta la soluzione all’interno del volante).



Infine, come ci suggeisce l' autore di questo interessante progetto "la leggerezza è dovuta soprattutto alla mancanza di un classico motore scoppio... la macchina è stata privata di tutti quei gadget superflui, e ne risulta, comunque, tecnologicamente avanzata, ma molto semplice ed essenziale: 
un veicolo a misura d’uomo."

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